lunedì 25 febbraio 2008

AND THEN WE CAME TO THE END


Non so nemmeno chi sia, Paul Tilley, ma questa notizia mi fa provare dei brividi di angoscia. Si è buttato da un palazzo, a pochi isolati dalla sua agenzia, DDB Chicago (quella di Anheuser Busch, vedi post sul Superbowl).
40 anni. Quando era stato promosso, alla fine del 2006, creative department manager, aveva detto che si realizzava un sogno: 'a dream job', l'aveva definito.
Se leggete l'articolo, apparso oggi su AdAge, dice un paio di cose agghiaccianti: è durato poco più di un anno nel suo nuovo incarico, dopo che il predecessore era durato sei mesi, e già era sotto accusa perchè non aveva sviluppato il new business che prometteva, e perchè le sue pressioni sui creativi non avevano avuto successo. La competizione fra le agenzie negli Stati Uniti è a un livello inimmaginabile. Il bisogno di risultati a breve termine, l'impossibilità di tollerare gli insuccessi, il bisogno di dare segnali di cambiamento agli investitori scontenti distrugge alla fine chiunque.
A dream job but a tough job, sottotitola AdAge.
C'è un libro, Joshua Ferris, E poi siamo arrivati fino alla fine, And then we came to an end, la vita quotidiana in un'agenzia di Chicago. Leggetelo, se volete capire perchè di pubblicità si può morire.

ps: leggo ora che Tilley era stato attaccato nei giorni scorsi da agencyspy, un blog che metteva sotto accusa il suo stile di direzione dei creativi. Oggi lo stesso blog si pone degli angosciosi interrogativi: può una critica avere un effetto così terribile?
I commenti sono un pugno nello stomaco.

4 commenti:

Elisa Zocchi ha detto...

Agghiacciante davvero.
DDB, l'agenzia di Whassup.
E' triste pensare che la competizione, la pressione per i risultati, le critiche, le promozioni e le delicate responsabilità di un "collega" oltreoceano, tutto ad un tratto, portino a mettere un punto ad una vita.
Davvero un "tough job": ma bisogna arrivare fino a togliersi la vita??
Dov'è il limite?
Dobbiamo cercarlo noi.

Anonimo ha detto...

Mi dispiace un sacco. Aver studiato alcune case histories by DDB, avere letto il libro di Ferris, tutto questo mi fa sentire incredibilmente vicino alla vicenda. Certo, il suicidio resta sempre un gesto vile, un insulto alla vita: purtroppo, però, a volte sembra l'unica risposta agli insulti che la vita stessa ci rivolge.

Anonimo ha detto...

Quando ho letto la vita di Seguelà, mi ha colpito enormemente la serie di alti e bassi, licenziamenti, successi, fallimenti, critiche o apprezzamenti in un sussegguirsi continuo in lassi di tempo davvero brevi....

Incredibile quanto possano pesare nelle nostre vite i giudizi e le critiche di chi magari nemmeno ci conosce o ci critica per pura invidia.
Ancora più incredibile riscontrare quanto noi permettiamo agli altri di deturpare la nostra dignità e identità.
Il lavoro nobilita l'uomo, rende l'uomo libero dicevano.... ma arrivare a questi livelli è qualcosa di assolutamente assurdo.

Daniela

the student ha detto...

E infatti, uno dei commenti cita il libro di Ferris: and then we came to the end.